22/09/2020

Chi ha paura dei bot?

L’automazione avanza sempre più velocemente, ma non tutti sembrano pronti a vederne i benefici; la nostra analisi è focalizzata su uno dei temi più controversi del mondo del lavoro e dello sviluppo tecnologico.



Non è un mistero che uno degli obiettivi più importanti dello sviluppo tecnologico sia l’automazione dei servizi tramite la creazione di intelligenze artificiali sempre più raffinate.


Del resto, basta pensare al poco spazio e tempo impiegato dall’AI per entrare nelle nostre vite, per capire che non è lontano il momento in cui un deskbot ci saluterà mentre entriamo in ufficio.

Per molti sarà un’immagine da film di fantascienza; per alcuni, addirittura, da film horror. Molteplici sono i commenti che impazzano sul web, chi a favore, chi contro.
Diciamolo subito, sembrano lontanissimi i tempi in cui si poteva pensare di essere realmente assaliti da un’invasione delle macchine.
Appaiono oramai anacronistici i campanelli d’allarme, illustri come quelli della Oxford Martin School, che nel 2013 prospettavano, entro il 2033, la cancellazione del 47% dei posti di lavoro negli Stati Uniti ad opera delle macchine.

Il passaggio sarà sicuramente molto meno traumatico e più graduale di quanto ipotizzato anni fa, ma la paura di poter essere sostituiti da un bot rimane costante.
Risale a qualche mese fa (febbraio 2020) la pubblicazione del rapporto Censis-Eudaimon sul 2019, nel quale ben 7 milioni di lavoratori hanno affermato di aver paura di perdere il proprio posto di lavoro a causa dell’intelligenza artificiale.
Sempre sullo stesso campione:
  • il 70% delle persone crede che ci sarà una diminuzione degli stipendi e delle tutele;
  • infine, il 50% ipotizza che ritmi e condizioni di lavoro andranno peggiorando.
Gli elementi di preoccupazione non mancano, non sono mancati negli anni e, sicuramente, passare da una condizione lavorativa esclusivamente umana ad una “ibrida” sarà un percorso lungo e di difficile interpretazione.
Tuttavia, i motivi per pensare che queste previsioni siano sbagliate o influenzate da un’eccessiva apprensione sono molteplici e, in parte, smentite da fenomeni già in atto e sotto gli occhi di tutti. In questo senso, come spesso abbiamo già detto, la pandemia è stata uno degli elementi decisivi per evidenziare l’importanza dell’AI nel mondo dei servizi.

Che il Covid abbia dato una spinta alla digitalizzazione e all’automazione è oramai risaputo: la macchina non si stanca, non si ammala, è sempre disponibile, ha un costo basso; il corollario che ne segue è che inevitabilmente, da un punto di vista aziendale, per alcuni aspetti, la macchina possa performare meglio dell’essere umano.
La realtà è molto più complessa e, fermandoci a quello che è lo stato attuale del progresso tecnologico, senza prendere in considerazione visioni futuristiche o addirittura le tanto inflazionate leggi della robotica di Asimov, non così preoccupante.

Molte delle funzioni più complesse non sono ancora completamente delegabili alle macchine, specialmente in campi nei quali il coinvolgimento empatico è parte fondamentale del lavoro (e in questa casistica è senz’altro da annoverare il Customer Care).
La strada che sta prendendo il mondo del lavoro è sempre più “ibrida”; mentre una parte delle attività continuerà ad essere svolta da esseri umani, un’altra verrà delegata ai bot.
Sul lungo periodo, e con il progresso della tecnologia, è certo che si affineranno anche le capacità dei bot; ciò che risulta sempre più improbabile, invece, è un sistema guidato da sole macchine.

Quali saranno i ritorni effettivi sulle nostre condizioni di lavoro? Vedremo solo l’aumento dell’efficienza?
La risposta è welfare.
È nel welfare che verranno reinvestiti tutti i vantaggi economici provenienti dall’automazione.
Welfare e specializzazione, perché il lavoro umano nel futuro è destinato ad essere sempre più specializzato e a vedere la nascita di diverse nuove figure professionali.

Il Censis-Eudaimon ha voluto focalizzare l’attenzione su diversi settore, uno dei quali riguarda proprio le nuove tecnologie.
Analizzando i risultati possiamo scoprire qualcosa di già affermato dai lavoratori stessi e che ci fa ben sperare:
  • il 66% di loro afferma che una maggiore attenzione al welfare aziendale ha migliorato la qualità della vita;
  • il 54% si dichiara ottimista riguardo al fatto che il welfare aziendale migliorerà ulteriormente le proprie condizioni lavorative.
Convinzione non solo dei quadri manageriali, ma anche dei lavoratori intermedi (60%) e degli operai stessi (79%).

E il mondo del Customer Care?
Non potevamo ovviamente non fare riferimento al nostro settore, soprattutto perché molto più di altri si trova nel crocevia di questi cambiamenti.
Abbiamo già introdotto il concetto di sistema integrato; gran parte delle attività di primo contatto verrà delegata ai bot in un sistema coordinato tra uomo e macchina. Fa piacere sapere che proprio dall’assistenza clienti stiano arrivando alcune delle maggiori innovazioni in questo senso, con la possibilità di “analisi empatiche” dei bot che tengono conto di una serie di parametri, impensabili anche solo un decennio fa.

Specializzazione, integrazione,
maggiore welfare per i lavoratori.

È questo che ci prospetta l’arrivo dei bot e,
almeno per quel che ci riguarda,
non crediamo ci sia nulla da temere!





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